La vita ricomincia in un quaderno rosso a quadretti, come quelli che usano i bambini al primo anno di scuola. La donna la cui immagine è una delle più famose al mondo ha il suo nome scritto sopra: lentamente, con tratti un po’ esitanti. Come quando è iniziato tutto questo e lui aveva solo 12 anni [quelques mois plus tard, sa photo fait la une du “National Geographic”].
“IO SONO SHARBAT ZUCCHERO” [“Je suis Sharbat Gula”], si legge in tre righe, in maiuscolo. Accanto ci sono parole colloquiali: “porta”, “casa”, “palla”. Poi il nome della persona che l’ha aiutata a riannodare i fili recisi durante la sua infanzia, e ad andare avanti: la sua insegnante di italiano.
L’Afghanistan non potrebbe essere più lontano
Siamo in un piccolo angolo della provincia italiana, lontano dai rumori e dalla frenesia, al centro di una casa a due piani, circondata da alberi e da un parco giochi. L’Afghanistan non poteva essere lontano, ma è da qui che Sharbat Gula, 47 anni, ha deciso di partire.
Pochi giorni fa era passato un anno da quando aveva messo piede per la prima volta in Italia, lasciandosi alle spalle un Paese appena caduto in mano ai talebani.
Come trentotto anni fa – quando la sua immagine fu catturata dall’obiettivo del fotografo americano Steve McCurry – da allora è diventato un simbolo dell’esilio.
Tuttavia, dal giorno del suo arrivo, non si sa nulla della “ragazza afghana”, come viene chiamata in tutto il mondo. Ad oggi.
“Conosco solo poche parole”
“Ciao, come stai ?” ha risposto quando gli abbiamo chiesto, quando siamo arrivati a casa sua, se parlava italiano. Dentro, un appartamento quasi vuoto, il più pulito possibile, con l’unica decorazione che è una bandiera afghana sul muro. Come migliaia di suoi compatrioti, Sharbat Gula non poteva portare nulla con sé quando lasciava il suo paese: come loro, doveva ricominciare tutto da capo, senza oggetti conosciuti che gli ricordassero il passato.
“Non ho imparato molto. Conosco solo poche parole. Ma quelli che conosco mi piacciono molto ”, è entrato, poi è tornato alla sua lingua madre, il pashtu, come faceva sempre durante le nostre discussioni.
“Non voglio andare in America”
Da quel lontano 1984, la donna che abbiamo davanti ha pagato un prezzo altissimo per la fama che le è toccata. Un prezzo di cui non vuole parlare, ma che si può facilmente immaginare quando si viene a sapere che, nella cultura afghana, una donna deve essere nascosta. Il risultato è un silenzio e una reticenza a cui assisteremo durante i mesi trascorsi a compilare il suo racconto.
Italia, dunque. Con una fama del genere poteva andare dove voleva: perché proprio l’Italia? Perché no, ad esempio, gli Stati Uniti Nazionale geografica ? Sharbat Gula scosse la testa: “Non voglio andare in America”, lui ha risposto. Non c’è bisogno di entrare nei dettagli: a questa domanda, come a tante altre sulla rivista che lo ha reso famoso, preferisce non rispondere direttamente.
“Ho la libertà di scegliere, ha ammesso. Quando sono arrivati i talebani, ho capito che sarebbe stato difficile per me sopravvivere: ero troppo famoso. Diversi governi mi hanno offerto aiuto: ho votato per l’Italia. So che hai fatto molto per l’Afghanistan. Voglio provare.”
Una reazione
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