Il ‘terzo inconscio’, l’orizzonte inquietante dell’estinzione, di Franco Bifo Berardi

VALENZA. Ora il demone della guerra che ci ha accompagnato fin dalle origini in Ucraina ha appiccicato i denti alle gengive, le sensazioni aumentano, le voci si fanno più intense, i muscoli della testa si irrigidiscono: il mondo psicopatico collettivo di questo animale che si è evoluto abbastanza da svilupparsi un espediente con cui cancellarsi dalla faccia del pianeta che lo ha visto nascere in una calda pozzanghera, si ritrova in una nuova fase, subendo una nuova trasformazione. Se dovessimo definire questa era, probabilmente alluderemmo alla velocità —accelerazione—, incertezza e disperazione. È tempo di assumere un danno permanente al pianeta: non si tratta più di evitarlo, ma di ridurlo il più possibile, e di credere che non vivremo abbastanza per sopportarne le peggiori conseguenze.

Senza dubbio, la storia ci dice che in molte occasioni ciò che diamo per scontato non viene realizzato a causa della distrazione di fattori che, essendo sconosciuti, abbiamo tralasciato dalle nostre equazioni analitiche. Il problema è che negli ultimi anni l’impressione è stata che questo fattore sia ben lungi dall’essere una distrazione in grado di portarci fuori dai sentieri battuti con le conseguenze delle nostre azioni: il penultimo grande shock è stata la pandemia, anche se è vero che c’è sono voci che hanno avvertito della possibilità, questo per anni, la maggior parte di loro non ne sapeva nulla e, più recentemente, lo scioccante ritorno della retorica della Guerra Fredda dopo l’inizio di una nuova guerra in Europa. La verità è che non vedevamo arrivare nemmeno questo, e ora, tra dieci giorni, andiamo a letto pensando che forse qualcuno si è appena innervosito e ha premuto il pulsante rosso, e da lì, beh, è ​​finita. Senza allarmismi, con la rassegnazione di chi pensa che l’uomo sia capace della più alta stupidità: può succedere.

Ma ehi, forse niente di tutto questo accadrà, tutti hanno molto da perdere. Forse questo modo di scrivere ha a che fare con il fervore nella nuova fase di cui abbiamo parlato prima, con il brusio della paura dell’inedito che scrittori, filosofi e attivisti italiani hanno così ben definito. Franco ‘Bifo’ Berardi in Il terzo è inconscio. La psicosfera nell’era viraleun saggio con un encomiabile desiderio di capire dove vanno le nostre menti all’inizio del millennio, edito da Editora Caja Negra Buenos Aires con traduzione Taddeo Lima. Va così, inizia e basta [en el primer párrafo]: “Questo libro esplora la mutazione in corso dell’inconscio sociale. Il mio punto di vista è quello in cui viviamo oggi: una soglia storica segnata da una pandemia virale e dal crollo catastrofico del capitalismo. Da questa soglia possiamo vedere davanti a noi, in modo chiaro e innegabile, l’orizzonte del caos, dell’esaurimento e della propensione all’estinzione. E che Berardi non tenesse conto della minaccia di una terza guerra mondiale.

Per chi scrive ci sono due fasi dell’inconscio collettivo, che sono più di un teatro in cui il nostro cervello offre la funzione di ciò che non vogliamo vedere consapevolmente, è un laboratorio animato da forze creative: la prima di queste fasi ha a che fare con la concezione dell’inconscio come luogo in cui vivono le passioni oscure che reprimiamo nella società. La seconda fase è descritta da Berardi in modo così chiaro che è meglio riprodurla: «Tutto il sistema dei media si è mobilitato per estendere la promessa del godimento, ma Questo flusso accelerato di informazioni ha messo a dura prova la capacità umana di attenzione, ritardando per sempre la possibilità del piacere, che alla fine diventa irraggiungibile.. Questi regimi sociali portano alla configurazione di nuovi regimi psicopatologici, che hanno caratterizzato l’ultimo decennio: l’era del panico, della depressione e, infine, della psicosi”.

Bel ritratto. Il terzo stadio dell’inconscio, avvertono gli autori, non è definito, dipende ancora da noi, anche se possiamo già vedere alcune delle sue forme: gli autori ritengono che siamo inclini a immunizzare le emozioni, che soffriamo troppo — su un livello medico, ma soprattutto economico, sociale e mentale, e che cerchiamo di evitare l’empatia per salvarci da altre sofferenze. Questo è indicato come una sorta di autismo psicosociale e alesstimia. Un’altra caratteristica che definisce questo terzo inconscio è la fatica, e qui bisogna soffermarsi. La fatica, come la sofferenza, si manifesta a più livelli: stiamo assistendo all’esaurimento delle risorse – da ciò di cui abbiamo bisogno e che possiamo estrarre ora, perché ci saranno senza dubbio enormi riserve di petrolio a cui non potremo accedere – ma anche, e soprattutto, l’esaurimento della nostra carne e di noi stessi. Il burnout è sicuramente il tratto che è uguale a tutto.

Siamo stanchi, stanchi delle correnti, della crisi economica globale, delle uniche notizie terribili o apocalittiche, delle tensioni politiche, ovviamente del virus e ci stiamo dirigendo senza freni verso un mondo di scarsità, bisogno e massiccia migrazione. In Occidente, inoltre, siamo stanchi e vecchi. La nostra società non ha figli. Per avere figli nell’età dell’ansia, condizioni di lavoro precarie con retribuzione insufficiente, orari neoliberisti e affitti fuori dalla nuvola, devi armarti di coraggio, e anche avere fortuna e che ti vengano bene. Ma oltre a questo, questo terzo inconscio è definito dall’orizzonte di estinzione. Con questo Berardi non afferma che presto ci estingueremo, ma piuttosto che invece di vivere verso e per un domani promettente, come è successo altre volte, ora non crediamo al domani, e non solo: ci stiamo provando —non tanto in realtà per quello che dovremmo fare—che il domani non arriva. Questa è una grande differenza. Fortunatamente, o sfortunatamente, tutto è cambiato. Allora chissà.

Daniel Jensen

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